Se avessi il potere di sottrarre all’amore,
la regina, impegnata ad attaccare con decisione una torre,
assegnerei il pedone all’agguato del cavaliere,
per contrastare le sue molteplici insidie sulla scacchiera.
Aggiungerei a sua difesa la signora degli scacchi,
colei che, fine stratega, costringerà il re al talamo nuziale,
se fosse intenzionato a dividere il territorio del reame,
e dare all’alfiere un ultimo barlume di speranza.
Perché nessuna fortezza si assedia impunemente,
senza fare leva sulla forza dei sentimenti.
Gemma
Quando si gioca la difesa Siciliana nella variante del Dragone, scatta quasi sempre un riflesso condizionato nella mente del giocatore che conduce i pezzi bianchi: spesso non completa nemmeno lo sviluppo dei pezzi e non arrocca, per poter iniziare al più presto possibile la manovra di sfianchettamento dell’arrocco del nero. Forse i manuali di scacchi hanno esagerato nel decantare l’efficacia di questa manovra sull’esito del gioco e non hanno messo a sufficienza l’accento sul fatto che prima di iniziarla bisogna sviluppare tutti i pezzi e mettere al sicuro il re. Questo perché la manovra per catturare l’alfiere avversario sviluppato in fianchetto, inglobato cioè nell’arrocco, davanti al re, comporta la perdita di alcuni tempi, mentre intanto l’avversario continua indisturbato a sistemare i propri pezzi. Il risultato, come si può vedere nella partita che segue, è che una volta eseguita l’eliminazione dell’alfiere in fianchetto il bianco non ha una vera strategia di gioco e anzi subisce la reazione dei pedoni che formano la coda del Dragone ferito. Quando inevitabilmente si apre una linea al centro, subito occupata dai pezzi neri, appare chiaro che la mancanza di un riparo sicuro diventerà mortale per il re bianco.
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